Conosco una persona che usa spesso questa espressione “non bisogna stare con il naso attaccato alla lavagna. Bisogna fare uno o due passi indietro in modo da vedere l’intera lavagna”. Espressione che, in alcuni momenti, ho sentito trasformarsi in “non bisogna guardare la singola riga del foglio di calcolo. Bisogna guardare l’intero file. Se ci si concentra sulla singola riga si perdono la maggior parte dei dati”.
Credo sia accaduto a tutti di incontrare delle persone e di essere colpiti da alcuni loro modi di dire. Magari queste espressioni non diventano le “proprie espressioni” ma “risuonano” nella testa.
E queste affermazioni, in questi giorni, risuonano nella mia testa, pensando ad alcune cose su cui sto lavorando.
Prima fra tutte la sicurezza. L’approccio in ambito sicurezza è reattivo e non propositivo, nella maggior parte dei casi. Si risponde a ciò che la normativa impone. Si leggono le singole righe dei decreti e si applica ciò che è d’obbligo. Una volta assolto l’obbligo si tira un sospiro di sollievo, sentendosi in regola per un dato tempo. Scaduto questo tempo, si torna a leggere la singola riga della normativa e si applica quanto prescritto. Si assolve al compito scritto su una specifica parte della lavagna e ci si dimentica (o non si dà importanza) al resto della lavagna.
Fare un passo indietro per vedere l’insieme consente di passare da un approccio reattivo a un approccio propositivo, in cui si coglie tutto ciò che sulla lavagna c’è scritto, gli spazi ancora liberi dove poter scrivere, cosa poter cancellare per, magari, scrivere altro.
La sicurezza ha bisogno di sviluppatori. Questo è quello che vedo, da qualche tempo a questa parte, facendo uno o due passi indietro per staccarmi dalla lavagna.
Perché scrivo sviluppatori e non creatori o ideatori? Perché ritengo che strumenti e teorie ce ne siano in abbondanza e in questa abbondanza poco viene sviluppato per l’applicazione nell’ambito specifico.
La maggior parte dei professionisti che si occupa di sicurezza ha un approccio reattivo che ben si adatta al modo reattivo di vivere la sicurezza in molte aziende e settori. Tutto ciò alimenta questo tipo di approccio rispetto a questa materia.
Manca poi una dimensione culturale d’insieme. Rimane stabile l’idea che il contenuto hard abbia supremazia sul contenuto soft. Anche i comportamenti vengono trattati dal punto di vista delle hard skills, ovvero se si commette un errore questo avviene, si pensa, per una lacuna nel campo del sapere e via, quindi, a ripetere le stesse come. Un po’ come se imparare la norma o la lezione a memoria risolvesse il problema. Non ci si chiede come mai è accaduto un evento. E quando scrivo “non ci si chiede come mai” mi riferisco all’abitudine di attribuire al singolo essere umano o a un fattore esterno la responsabilità di un accadimento, senza farsi venire il dubbio (che poi non è detto corrisponda a verità nei fatti) che il nocciolo della questione stia da un’altra parte. Magari è stata sbagliata la progettazione della procedura o la procedura stessa oppure si è sottovalutato un elemento chiave o altro ancora. L’accaduto va letto, prima di tutto, nella complessità del foglio di calcolo e non nell’immediatezza del singolo campo.
Sembra poi che la verità sia in possesso di pochi, che vivono chiusi in torri d’avorio, senza accorgersi che chi sta fuori dalla torre d’avorio di conoscenza ne ha da vendere. Intendo per conoscenza quelle informazioni che fanno parte di una conoscenza diffusa, inconsapevole e che troppo spesso non viene portata alla luce dai vertici aziendali, i quali, nella maggior parte dei casi, non sono supportati dagli esperti di settore. È qui parlo di esperti di settore perché l’ambito comportamentale (quello delle soft skills o del comportamento organizzativo o altro, per intenderci) non ha sempre da insegnare agli ambiti tecnici.
Molto spesso non si arriva alla vera causa radice neanche in ambito comportamentale.
Mi raccontava un professionista della sicurezza un avvenimento accaduto nel 1986. Si è trattato di un confronto aperto tra una nuova procedura stabilità dall’azienda messa a confronto con l’attuale procedura (non scritta) seguita dai lavoratori. Il confronto ha portato a riscrivere la procedura preparata dall’azienda, perché non applicabile nella maggior parte delle sue parti e riscritta seguendo le indicazioni di chi sul campo ci lavora. La nuova procedura, poi, non ha riscontrato resistenze in termini di applicazione. Si tratta di un esempio di trenta anni fa e ricorda ciò che Lewin scriveva nella prima metà del XX secolo.
Nulla di nuovo e ancora poco viene applicato. Teorie ce ne sono in abbondanza. È necessario svilupparle per renderle attuali e attuabili. Per questo scrivo che c’è bisogno di sviluppatori e ancor di più c’è la necessità di professionisti che stacchino il naso dalla lavagna e cambino paradigma di pensiero. L’essere reattivi è più facile dell’essere propositivi, pianificatori e ricercatori della visione d’insieme.
Potrei dire che ciò che manca è la cultura ma non lo ritengo vero. Ciò che manca è la conoscenza (e forse è ancora più grave). Manca la conoscenza di ciò che tecnico non è. Manca la conoscenza e la consapevolezza dell’importanza di completare una conoscenza tecnica con altri aspetti che permettono di avere applicazioni efficaci ed efficienti delle conoscenze tecniche. Manca la consapevolezza che è importante il cosa ed è, nello stesso modo, importante il come. Perché un buon cosa viene fortemente impoverito da un mediocre come.